Profilo

Pippo Scaltrito (Piscál) viene inserito in un volume storico, Editore Intilla dal titolo “Arte Contemporanea a Messina (1980-1997)” curato da Luigi Ferlazzo Natoli con profili degli artisti di Teresa Pugliatti. Il volume è stato collocato nell’archivio storico della città di Messina e può essere consultato via internet dati sopracitati.

Dal 1998 L’artista Pippo Scaltrito continua a dipingere sperimentando ricerche su tecniche, materiali e colori esclusivamente per se stesso.

Si interessa anche a livello dilettantistico di scritture bibliche e religioni varie.

Si occupa di agricoltura biologica.

Nel maggio del 2014 dipinge per la etichetta discografica Dabit Records
n* 200 smalti soffiati su carta 30×30 che rappresentano, con tecniche astratte informali, interni australiani.

Le carte

Recensioni

IL RECUPERO DELLA “SPORTA”

 

Conoscevo Pippo Scaltrito per averlo incontrato talvolta alle inaugurazioni delle mostre messinesi. Avevamo parlato per qualche minuto, sapevo che dipingeva, che apparteneva all’area dei pittori figurativi. Dopo averlo perso di vista – al punto di averne quasi dimenticato il nome – un giorno mi viene a trovare e mi accompagna al suo studio in uno dei tanti suggestivi villaggi di Messina: Massa S. Lucia. Il paesaggio incontaminato dall’inquinamento, la pace e la quasi totale assenza di rumori spiegano probabilmente perché Scaltrito per 20 anni (’68-’88), almeno, si è occupato di trascrizione della natura (vegetazione, paesaggi etc.) ma, adesso, Scaltrito mi introduce nel suo Studio e mi mostra la sua ultima produzione: le sporte.

Il periodo delle sporte, che Pippo Scaltrito chiama 2° periodo, è cominciato da un paio d’anni (1988) e la sua produzione ha già avuto il primo impatto con il pubblico e con la critica alla “Expo arte” di Bari dell’ottantanove e alla “Art Jonction International ’89” di Nice.

Accanto alle “sporte” in questa mostra, Pippo Scaltrito propone anche le “carte” (che sono realizzate con una tecnica personale di smalti soffiati) e le “tele scolpite” (come egli le definisce: si tratta cioè di tele bagnate, messe sotto pressa e fatte asciugare – in  modo che una parte della tela resta sbalzata – colorate e presentate con una sporta sopra).

Se le “carte” dimostrano, a mio avviso, una raggiunta maturità tecnico-espressiva, sulle tele l’autore deve ancora lavorare per consentire che il procedimento tecnico raggiunga un maggiore effetto di nitidezza. Prima di esprimermi sulle sporte – che rappresentano la novità principale della mostra – mi sia consentito di riferire quanto l’autore stesso dichiara circa la sua conversione o folgorazione sulla via del “figurativo” (cioè mentre si occupava di natura, di paesaggio o di produzione quasi veridica di essi).

La lettura di un brano critico di Achille Bonito Oliva (sulla sperimentazione di materiali desunti dal quotidiano, su Duchamp, l’action-painting, la pop-art, sul “rapporto dell’arte con l’ecologia” e sul “contatto autentico, non artificiale, con le cose”) ha finito col far breccia nella mente e nel cuore di Scaltrito, il quale viveva già in un clima di antropologia culturale e non doveva fare altro che aprire gli occhi. Da questa presa di coscienza alle “sporte” il passo è breve: in campagna esistono ancora vecchi trappeti (frantoi), con tutta l’attrezzatura – ormai da considerare come reperto da museo etnoantropologico – le pietre, le presse, le “sporte”.

Ecco: il suo occhio di artista è stato catturato dalla sporta (il cui significato tradizionale è quello di sacco o sacca per la spesa o per altro); vale a dire un oggetto di forma rotonda fatto di corda intrecciata – con un buco al centro – sul quale e sotto il quale si ponevano le olive, già macinate, per essere pressate.

Queste “sporte” colorate (che qualche critico ha ridefinito “tiriassegno”) appese alle pareti o giacenti per terra in contenitori di legno, anch’essi colorati con la tecnica del dripping, o utilizzate come sportelli di bacheche di legno, si affacciano dunque alla mia vista nello Studio agreste di Scaltrito.

Questa ruota di corda schiacciata con il buco al centro (e colorata di rosso, giallo, verde, blu in prevalenza) assurge talvolta nella visione di Scaltrito a Sole con i suoi raggi, con la sua luce.

Ecco: in questa operazione può vedersi forse un intervento minimale da parte dell’autore, il quale si trova in mano un reperto, per dirla alla Duchamp un ready-made, e quindi un oggetto già trattato da un artigiano. Scaltrito lo ri-utilizza fantasticamente nella tradizione della

Pop-art (ma anche, come ho detto, della linea dada tracciata da Duchamp)

Va detto però che Scaltrito non riesce ancora a trarre da queste sporte il massimo potenziale. Infatti, in questa che si può considerare prima fase di sperimentazione del nuovo corso, mi sembra che scaltrito mostri di dover ancora acquisire un maggiore spessore culturale che dia ai suoi interventi più profondi contenuti.

Va bene anche l’ingenuità che, come ricordava Bonito Oliva nel brano citato da Scaltrito, è dei bambini e si sa che i bambini dono degli artisti in pectore o allo stato embrionale, ma anche i bambini esprimono le loro ragioni: che è ciò che deve fare ancora meglio Scaltrito per non rischiare di limitare il suo intervento ad un puro fatto decorativo.

Luigi Natoli

Le sporte